Dove sta la bellezza

bellezzaC’è una bellezza soggettiva, quella che varia in base agli occhi di la osserva. E’ la bellezza esteriore, estetica di forme, proporzioni, sinuosità, conformazioni.

Ma c’è anche una bellezza oggettiva: quella che non può, e non deve, variare in base all’esperienza personale.

Ovvio che non mi riferisco alla bellezza fisica. Piuttosto, penso alla bellezza intesa come atteggiamento, come modo di essere e esprimere se stessi nei confronti della propria vita e di quella degli altri.

Una bellezza nascosta, ma fino a un certo punto. Non la vedi al primo impatto, al secondo sì.

Questa mia riflessione nasce dall’aver osservato alcuni comportamenti, a mio avviso poco belli.

Nell’era della connessione h24, si tende a perdere il controllo del tempo. Del proprio, sicuro, ma anche di quello degli altri. Messenger invia notifiche in piena notte; il cellulare squilla alle otto di sera, di ogni sera e di venerdì, sabato e domenica. Che poi le otto le ho scritte come puro dato di riferimento, giusto per far capire un orario poco consono… perché le chiamate arrivano anche dopo le nove. O quelle che arrivano in piena notte da Messenger. Chiamata vocale in arrivo… bip bip nuovo messaggio WhatsApp.

In orario lavorativo, il mio telefono è super acceso con suonerie distinte per clienti e amici, famiglia e varie. Notifiche a go go da qualsiasi social che, e lo metto tra parentesi, utilizzo al 99% per lavoro.

Mi alzo molto prima dell’orario classico di lavoro e chiudo la mia giornata molto dopo le 19.00. E in queste ore in più, il mio telefono è  acceso, sì, ma silenziato. Ho stabilito una mia personale linea comportamentale, una serie di regole che appaiono come un muro di cemento armato innalzato tra me e i miei contatti. Ma non è così che va visto, credetemi. La verità è che la bellezza, quella oggettiva dei comportamenti, va individuata proprio qui: su quella linea sottile, ma importante, essenziale, dove appare chiara la necessità di “contenere” le proprie esigenze per rispettare quelle degli altri.

La bellezza è  questione di allure, tutto qua.

Vi lascio un sorriso,

Solidea

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Quella di Chiara ed altre storie che meritano

Ci sono storie che meritano attenzione e rispetto. Storie di vita, esperienze che hanno lasciato un segno, un’evoluzione personale.

A volte, e sarebbe auspicabile sempre, gli incontri con certe malattie ti spingono a vedere oltre il dolore, oltre la paura. C’è qualcosa che si scatena dentro e fa nascere qualcosa di bello, di costruttivo.

Di recente ho avuto modo di conoscere le attività della Onlus “Voce del Cuore per la chirurgia” e devo dire che mi sono incuriosita molto. Lo sapete, quello che amo è conoscere le persone nel loro profondo, cercando motivazioni, valori che spingono le loro azioni.

Tra gli associati di questa onlus si respira un forte sentimento, uno stato emotivo estremamente produttivo. Nata il 13 maggio del 2014, ad oggi, la “Voce del Cuore” vanta già tante iniziative di successo. gabriellaLa sua Presidente Gabriella Accoramboni è un vulcano di idee, una donna determinata, una donna che, si vede chiaramente, è pronta a sostenere il reparto di Chirurgia dell’Ospedale di Camerino. Obiettivo pienamente condiviso da tutte le persone che fanno parte di questa Onlus.

L’idea di fondare questa Onlus è nata dal clima di soddisfazione di alcuni pazienti, e di familiari, verso il reparto citato. Quando vivi la malattia il sostegno della famiglia è indispensabile ma lo è anche l’ambiente medico. E’ in quest’ultimo che si ripongono le speranze, la fiducia nei confronti dello  staff medico è un fattore determinate per incentivare nel paziente la voglia di reagire.

E così, un gruppo di otto pazienti del Dott. Catalini, uniscono le loro forze, nel giro di qualche giorno organizzano una conferenza stampa con cinquanta persone. Dichiarano i loro obiettivi: sostenere quel reparto sfidando i tagli che purtroppo sono all’ordine del giorno.

“Non può esserci una reazione diversa -mi dice Gabriella – quando vedi persone, dottori ed infermieri, che ci mettono l’anima, che ti sono vicini in un momento molto delicato delicato della tua vita. Ogni loro gesto, parola e sguardo diventano vitali. E, quando noti queste attenzioni, non le dimentichi più.”

E così sono andati avanti. Incontri nelle scuole, eventi, donazioni… il tutto con la consapevolezza che la malattia può essere affrontata in modo diverso. Ci vuole energia, forza emotiva e flessibilità… e capisci cosa è davvero importante per te, cosa ti perdi ogni giorno, o cosa dai per scontato. Quando tutto viene messo in discussione da un male oscuro, quel tutto si stravolge. O lo vedi nero o lo vedi di un colore diverso. Non si tratta di lottare contro un mostro perché rischi di essere sconfitto. Si tratta piuttosto di accettare un fatto che fa paura sì ma che ti rende una dimensione diversa. Assapori ciò che prima non vedevi. Vedi oltre.

La propria esperienza si può raccontare con il sorriso, va condivisa, va trasmessa quell’energia sana.

Perfettamente in linea con questa impostazione mentale la Onlus “Voce del Cuore” porta, domani (venerdì 15 maggio) a Tolentino Chiara Stoppa.

Ed eccola un’altra storia di vita che incontra una malattia, che subito non sa come vivere ma che alla fine trova un modo coraggioso per accettarla. Chiara, attrice teatrale, racconta talmente tante volte la sua storia che ne scrive un monologo. Che poi porta in scena.

Il Ritratto della Salute” è il titolo del monologo teatrale ed anche del libro di Chiara Stoppa.

In attesa di vedere domani lo spettaccolo, io sto leggendo il libro. libroParole forti, di quelle che fanno paura, vengono sdrammatizzate. Momenti di panico che vengono presi con ironia. La scoperta della malattia, il rapporto con i dottori, la non reazione, la reazione, la scelta di vivere.

La storia di Chiara è una di quelle che ti fanno riflettere, una di quelle che lasciano il segno, che vanno ascoltate e che devono lasciare una traccia, un esempio.

L’energia di Chiara, la passione nel perseguimento dei obiettivi di Gabriella, i cuori della Onlus “Voce del Cuore per la Chirurgia”, i dottori, i pazienti… queste sono le storie che meritano rispetto.

 

P.s. domani sera, alle 21, passate all’Auditorium San Giacomo di Tolentino!

Assisteremo al monologo di Chiara Stoppa “Il ritratto della Salute“.

Ingresso Gratuito.

P.P.s. Se desiderate essere informati sulle iniziative della Onlus “La Voce del Cuore per la Chirurgia” seguite la loro pagina Facebook qui.

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Un sorriso

Solidea

 

 

 

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Se ti senti una mamma sbagliata…

… non preoccuparti! Ce ne sono altre e poi c’è anche un manuale di sopravvivenza scritto a quattro mani da Irene Vella – giornalista e scrittrice – e Roberta Giovinazzo – direttore commerciale e consulente per gallerie d’arte.

“Nati sotto il segno del cavolo” è un libro che mi ha coinvolta sin da subito. Voglio dire: ero interessata a leggerlo prima che vedessi fisicamente la copertina.

Perché? Perché di Irene Vella, che conosco virtualmente,  mi piace il suo stile comunicativo: diretto, ironico ed autoironico. L’ho sentita parlare, o meglio l’ho vista scrivere, di stronzamiche (il termine da solo dice tutto) e poi di mamma-merda. La seguo su facebook ed ogni giorno c’è un’avventura con lo Gnomo, con qualche sua frase detta, con qualche sparata che ti strappa il sorriso. E allora la curiosità è scattata.

Gnomo e Biscotto sono i rispettivi figli di Irene e Roberta. Belli, intelligenti, acuti, sinceri, senza barriere e quindi monelli (dentro e fuori).

Irene e Roberta sono due mamme che lavorano e, come tutte le mamme che lavorano, hanno una gestione impegnativa della famiglia, dei figli, degli orari, delle consuetudini. E se non fili dritta secondo canoni stabiliti dalle mamme perfette, diventi inesorabilmente una mamma sbagliata, una mamma-merda, appunto.

Il tema viene trattato con stile ironico, vorrei dire leggero ma non so se il termine è appropriato. Resta il fatto che non parliamo di un trattato pesante che ti offre consigli su come diventare una mamma perfetta e che ti genera ansia da prestazione. E’ questo il punto importante. E’ questo che mi e ci deve far riflettere.

Personalmente ho pensato tanto perché posso dirvi che anche io sono una mamma sbagliata. Per la mia professione, faccio ogni giorno, su di me un gran lavoro. Aspettate! Sono imperfetta, sbagliata se vogliamo usare l’etichetta giusta, ma in realtà sono perfetta. L’ho fatta difficile eh?

La società ci impone delle etichette e ne appiccica di più alle mamme lavoratrici, quelle che per forza di cose hanno meno tempo da dedicare ai loro figli. E’ imposto alle mamme: sapere tutto sulla gravidanza, conoscere la crescita del feto in base alle settimane ed ai giorni ed ai minuti di gestazione, programmare poppate, rispettare le regole e le prassi del nido, della scuola materna, di quella elementare, ecc. Rispettare orari dei pasti e del sonno dei loro figli, leggere favole, abolire tv e video giochi. Insomma, c’è un senso di marcia obbligato che se percorri in maniera leggermente diversa ti senti sbagliata.

Irene e Roberta, ma anche altre mamme nella parte finale del libro, raccontano la loro esperienza di mamme sbagliate, di mamme che lottano contro il tempo per arrivare il tempo a scuola, che lasciano cadere i propri figli e li lasciano guardare la tv per convenienza.

Sarebbe facile dire: ma che roba ragazzi! Ma come si fa a fare la mamma così? Sarebbe facile perché questo è il punto di vista di quelle mamme che tengono tutto sotto controllo, che annullano se stesse per essere vigili al 100% sui propri figli. Oh, sia chiaro: io le ammiro.

Io però sono come Irene e Roberta. Sono una mamma che lavora almeno 16 ore al giorno, mai nello stesso posto. Corro come una matta quando porto mio figlio a scuola, non conoscevo i libri didattici prima della riunione con le maestre (le altre mamme li sapevano tutti, ed anzi li avevano già acquistati), quando scrivo, come adesso, mi sta bene che Enea smanetti sul mio I pad (ho bisogno di tregua).

Insomma: noi siamo quelle mamme che Tata Lucia vorrebbe eliminare.

Ma va bene così. Lo dico da un punto di vista professionale: quando una persona sta bene con se stessa, tutto il resto del mondo può fare sogni sereni.

Un figlio ha bisogno di amore e poco importa se nella sua cameretta ci sono i giochi sparsi. Il rapporto mamma – figlio è un rapporto complesso, la vita stessa è complessa, ma non si basa sulla torta perfetta preparata dalla mamma in un pomeriggio da famiglia Mulino Bianco.

Se pensiamo di fare le mamme sulla base di regole e aspettative stabilite da altri, e che non proprio non sentiamo appartenerci, sarebbe più deleterio per il bimbo, per gli Gnomi e per i Biscotti. Si sentirebbe la mancanza di amore.

La naturalezza, gli errori, le dimenticanze fanno parte di ogni essere umano, e di ogni mamma, e allora è più produttivo accettarsi per come si vuole essere piuttosto che assumere comportamenti forzati (che poi non potranno durare a lungo).

Credonatisottoilsegnodelcavolo sia questa la lezione più importante che possiamo prendere dal libro “Nati sotto il segno del cavolo”. Se decido di essere donna, mamma e lavoratrice… se decido quindi di mettere in moto tutti i lati della mia personalità, che male c’è? Perché sarei sbagliata?

Un libro che consiglio per riflettere.

Solidea

 

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Il primo libro di Mauro Mogliani: Nessuno sa chi sono io.

Ieri, alle 18.30, sono stata alla presentazione del primo libro di Mauro Mogliani. L’evento è stato organizzato dalla Bottega del Libro di Tolentino, una libreria che io adoro. Non sto a raccontarvi del perché mi piace la libreria e di cosa mi trasmette, andrei fuori tema. Vorrei piuttosto concentrarmi sull’esperienza di Mauro Mogliani, tolentinate e mio coetaneo.

Quando ho saputo dell’uscita del suo libro, e della relativa presentazione, mi sono catapultata ad acquistarlo perchè volevo assistere all’evento preparata. E poi sono estremamente curiosa, ma questo lo sapete già.

Mi piace occuparmi e scrivere delle storie delle persone perché credo, anzi sono fermamente convinta, che ci sia sempre da imparare qualcosa. Scoprire la personalità, ma anche i sogni e le emozioni, degli altri è una forma di arricchimento e apprendimento. Oltre al fatto di essere una grande lettrice, modesta eh!?, è per questo motivo che ho letto il suo libro e sono andata ad ascoltarlo di persona.

copertinaNessuno sa chi sono io” di Mauro Mogliani è un thriller-noir ambientato a Tolentino e dintorni. Capitoli veloci, flash iniziale sul primo omicidio, perché ce ne saranno altri, scene e dialoghi tra personaggi ed una colonna sonora, quella dei Cure, che ti permette di “ascoltare” anche l’andamento delle emozioni, delle paure, delle fobie o dei momenti cruciali del libro.

La violenza sulle Donne è il tema centrale degli omicidi ma allo stesso tempo il libro è quasi un inno alle Donne.

Dal primo momento che ho iniziato la lettura, ho subito pensato fosse uno psico-thriller… cosa confermata alla fine.

Ho trovato una grossa componente psicologica ma anche sociologica. La prima, la parte psicologica, viene trasmessa da Fabio Scatozzi, principale protagonista del libro e marito della prima vittima, Sonia. Sarà lo stesso Fabio a condurre le indagini, in contemporanea alle autorità, ed è dentro la sua personalità che si trovano spunti psicologici importanti. E spiazzanti, pure.

Ho cercato di leggere il libro come se stessi nella testa di Mauro, operazione difficilissima perché io non sono lui, ma credo che, vivendo anche io a Tolentino, alcuni elementi importanti sia riuscita a coglierli.

L’ispettore porta il cognome di uno degli amici storici di Mauro. L’ambientazione è Tolentino, con vie dove Mauro ha vissuto e luoghi, la Stuzzicheria, che lui ha frequentato. Ho letto alcune riflessioni di Fabio Scatozzi come se fossero riflessioni di Mauro, personali voglio dire.

Ah! la parte sociologica vi dicevo. Mauro, tramite i soggetti del thriller, racconta anche i pensieri, le valutazioni e le supposizioni di personaggi locali, inventati certo, ma che rispecchiano la mentalità di una città piccolissima. Il Killer potrebbe essere il tossicodipendente, o il “pazzo”, almeno agli occhi degli altri, che gira senza meta. Tutti e nessuno sono responsabili di omicidi crudeli. Ognuno ha le sue “colpe” o meglio segreti inconfessati e inconfessabili. E tocchiamo anche la pedofilia in ambienti casti, o che tali dovrebbero essere.

E’ la mente umana la vera protagonista della storia, la sua ferocia ma anche la sua debolezza, per arrivare alla patologia.

Pensiamo sempre di conoscere gli altri ma in realtà non è vero. A volte noi stessi ci meravigliamo di ciò che possiamo fare o scopriamo lati del nostro Essere che non pensavamo di avere. Tutto si gioca sul doppio modo di essere, un po’ come il principio delle maschere.

Mauro MoglianiMauro è un artigiano, lui stesso lo ripete più di una volta (lo vedete al centro della foto). E’ timido, non ama parlare con il microfono puntato davanti e vorrebbe evitare domande dirette. Per fortuna che il moderatore della presentazione era Roberto Scorcella (in foto con sciarpa e occhiali :) ). Ho prenotato il mio spazio domande pensando di essere “raccomandata” visto che a Roberto lo conosco. Tra l’altro conosco molto bene anche l’altro moderatore Alessandro Campetella. Ne avevo tante, di domande. Me ne hanno concesse quattro (dovrò lavorare meglio sulla mia capacità di influenza). Scherzo, è ovvio.

Mauro, da sei anni, è diventato un lettore vorace: colpa di un libro regalato da sua moglie. Dalla lettura alla scrittura: questo è stato il suo percorso di crescita. “Io uccido” di Giorgio Faletti, il thriller che ha scatenato la penna di Mauro.

Ora, quando si pensa ad uno scrittore, si pensa, erroneamente, ad una persona piena di sé, ad una mente eccentrica. Per farsi un’idea precisa è necessario parlare direttamente con l’autore e parlando con Mauro, ad esempio, emerge una personalità completamente diversa. Umile, sincero e senza pretese.

- Mauro, la storia del libro l’hai costruita a tavolino o ti sei lasciato trasportare dalla penna?

- Come prima cosa ho fatto una sorta di bozza, struttura accennanta, e poi mi sono lasciato coinvolgere dal racconto. Sono arrivato alla fine che avevo almeno quattro possibili finali. Ne ho scelto uno. E’ questa la forza, ma anche il fascino della scrittura: decidi tu il finale. Quando scrivi entri in un mondo diverso, stacchi dalla realtà. Scrivendo la storia che ti piace diventi un’altra persona. E’ come un percorso di crescita.

- Cosa vuoi lasciare al lettore con questa storia?

- Ho dedicato questo libro alla mia famiglia ed infatti, all’inizio, l’ho scritto per loro. Poi è arrivata la pubblicazione e, con essa, anche il messaggio finale, ma a cnhe il più importante, per chi decide di leggere il mio libro: la sincerità.

presentazioneAlla presentazione erano presenti molte persone. E dico “molte” perché spesso a questi eventi assistono in pochi… Però, forse, avrebbero potuto partecipare in molti di più. Sia chiaro: la mia non è una polemica perché non spreco il mio tempo dietro a certe cose. E’ più forse una costatazione del fatto che se un giovane decide di mettersi in gioco, o decide di fare qualcosa di diverso ed importante per lui, se sceglie Tolentino perché è la sua città, e ne fa lo scenario di un libro… forse merita più attenzione. E certe esperienze andrebbero vissute come spunto magari per altri giovani. Poi il libro può piacere o no ed ognuno è libero di esprimere i propri giudizi, se lo reputa necessario.

@MauroMogliani: ma vedi Mauro, questa è la curiosità della gente: sa tutto e vede tutto però non sa niente e non vede niente. Conosce e non conosce.

 

Ho strappato a Mauro, a conclusione delle domande e della presentazione stessa, una piccola anteprima: è in fase di scrittura il secondo libro che pare sia il seguito di questo. Che contenga anche altri risvolti?

Solidea (che vedete in foto: prima fila, con agenda in mano, seconda da sinistra, vicino a Peppe – Fotografo ufficiale dell’evento).

P.s. Ringraziamento speciale a Francesco e Paola della Bottega del Libro… perché certe iniziative fanno fatte: sempre.

 

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Cena scolastica di fine anno, condivisione e brave persone

Qualche giorno fa, sono stata alla cena scolastica di fine anno di mio figlio.

Sono quelle occasioni in cui puoi condividere un momento più profondo sia con le maestre che con i genitori degli altri bimbi. Durante l’anno si va di corsa, ci si saluta in modo quasi sbrigativo e si vive comunque l’ambiente scuola.

Nonostante io non sia una tipa da eventi, inviti, cene, pranzi, cerimonie a questa cena ci sono andata volentieri. Anzi, più che volentieri e non tanto per il fatto che il percorso della scuola ddell’infanzia di mio figlio si conclude quest’anno ma piuttosto perché volevo vivere questo momento. Avevo proprio il desiderio di incontrare tutti i genitori, di dialogare con le maestre e di vedere quella classe di piccoli tutta insieme.

La serata infatti è stata molto piacevole: una di quelle che fai tardissimo senza rendertene conto.

Il merito di tutto va ad Arianna Aliscioni e a suo marito, che hanno organizzato tutto, ma proprio tutto. Un menù da ristorante, una tavola stupenda.

Ora voi penserete ad una cosa di lusso o in grande stile… invece era una di quelle cene semplici, con i piatti di plastica per capirci, ma assolutamente stupende. Perché quello che conta è l‘atmosfera che si crea, la condivisione di un momento, le persone che incontri con lo sguardo, con le quali parli ed alle quali fai domande.

Ed è in momenti come questo che puoi distinguere chiaramente le persone buone, brave nel senso più profondo del termine. Le osservi come si muovono, come si confrontano. E poi vedi Arianna che per tutta la cena non si è mai seduta a tavola, sempre pronta a preparare la portata successiva, a rimettere in ordine la cucina. E mi è tornata in mente l’immagine di una donna di altri tempi, una vera regina della casa.

Insomma sono piccole sfumature che, se le noti, ti aprono il cuore e di danno un senso di benessere… quel senso di voler stare con le brave persone.

Un sorriso

Solidea

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