Interagire con gli altri significa mettersi in relazione, porsi su un piano dove si dà e dove si riceve. L’interazione è alla base del processo comunicativo, ed è l’unico modo per comprendere il nostro interlocutore.
Alla base dell’interazione c’è la parola, strumento utilizzato da tutti noi con cognizione di causa, in casi evoluti, senza cognizione di causa, in contesti privi di valore.
La parola costruisce il linguaggio; il linguaggio struttura la comunicazione. La comunicazione crea la relazione. La relazione consente l’espressione del proprio io ed il confronto con l’altro.
Questi sono passaggi semplici e lineari, ma richiedono impegno e attenzione nella loro attuazione.
Quante volte avete sentito frasi senza senso? Quante volte, dopo un dialogo, avete avuto la sensazione di vuoto comunicativo? Quante volte non avete percepito il significato di un dialogo?
Si parla dell’arte del comunicare proprio per questo motivo: alla base della nostra comunicazione ci deve essere consapevolezza, su vari livelli.
Prima fra tutte, è la consapevolezza di sapere esattamente cosa vogliamo dire. Qual è il messaggio che vogliamo lasciare? Cosa vogliamo far comprendere e cosa poniamo come oggetto di confronto?
Non è raro trovare persone che avviano un discorso poco chiaro. La chiarezza nell’esposizione, invece, deve essere la regola numero uno.
Prendo in prestito la teoria dell’agire comunicativo di J. Habermas, filosofo, storico e sociologo tedesco. Tutti i dettagli di questa teoria sono racchiusi nell’opera “Theorie des kommunikativen Handellns”, prima edizione del 1981.
Non entro in merito alle diverse teorie dell’agire sociale, che coinvolgono anche concetti di democrazia e istituzioni politiche. Mi concentro sulla comunicazione, in quanto azione.
La comunicazione è un modello di azione sociale, il senso dell’agire sociale sta nell’interazione.
Il confronto diventa quindi un momento importante, rappresenta un’opportunità per conoscere, sentire, percepire e vivere la realtà dell’altro.
La comunicazione è fondamentalmente comprensione.
Ed eccola la prima difficoltà del nostro tempo. Riusciamo con facilità ad ascoltare qualcuno, o sostenere un dialogo, con l’obiettivo di comprendere? Invece che giudicare o far prevalere la nostra opinione a tutti i costi?
Attraverso il linguaggio, le persone costruiscono insieme il senso di ciò che si dicono. Dovremmo riuscire a riportare la nostra attenzione su questa dimensione.
La comunicazione è un processo di crescita reciproca, per chi parla e per chi ascolta. I ruoli s’invertono ad ogni interazione ed è come salire, ogni volta, su un gradino più in alto.
Ogni volta che siamo coinvolti in una comunicazione, potrebbe essere utile chiederci: quale reale valore sto portando in questo dialogo/relazione?
A dispetto delle teorie distruttiviste, credo che ognuno di noi sia portatore di valori sani. Affinché un’interazione, non solo abbia senso, ma sia anche costruttiva, dovremmo concentrarci su ciò che possiamo dare, trasmettere, lasciare.
Un po’ come quando guardiamo il mare. Un conto è vederlo da dietro un finestrino, chiusi nella nostra macchina, un altro il posizionarsi, magari a piedi nudi, di fronte ad esso.
Nell’ultimo caso saremmo in grado di entrare nel contesto, attraverso i sensi saremmo in condizione di sentire il caldo, il freddo, il vento, l’odore. Di vedere la luminosità e catturare le ombre. Di percepire i toni dei colori, e le loro sfumature. Vivere la relazione significa essere presenti. Interagire significa vivere.
L’ultimo è l’unico modo per avvertire la forza e la potenza del mare, ascoltarne il rumore, percepire l’energia, capirne i movimenti.
Solidea